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giovedì 12 febbraio 2009

La paperella Bighiri - Storiella

La paperella Bighiri

C’era una volta, ma non molto tempo fa,una paperella di nome Bighiri.

Questo nome può sembrare strano tra gli umani, ma è molto comune tra le varie tribù di papere e anatre, soprattutto nella zona di Verza Town.

Verza Town è un paese chiamato così perché vi crescono tantissime verze, e dato che papere e anatre sono ghiotte di questa verdura, si trasferirono in quel posto da moltissimo tempo ormai.

Qui vivono felici e possono fare ciò che più piace a loro : sguazzare nell’acqua !!!

Infatti, appena fuori del centro abitato c’è un boschetto, non è molto grande ma ha un bellissimo stagno piuttosto sicuro e protetto da tanti alberi, e le nostre amiche papere lo adorano !!!




Il boschetto si chiama “la Bria”, nome che gli avevano dato gli umani e che le papere avevano tenuto perché suonava bene e piaceva a loro.

Ma ora parliamo della paperella Bighiri, dopo aver descritto un po’ Verza Town e dintorni.

La nostra Bighiri è una brava paperella ubbidiente e gentile, ha una mamma papera della razza “Quaquele” (originaria dei paesi freddi del Nord) che si chiama Bimbu e un papà di nome Bighirone (per gli amici Bimbone, ed è originario della zona di Verza Town) ,è di razza “Squaquerone” ed è abbastanza corpulento, ha due ali grosse grosse ma comunque fa fatica a volare perché ha dei problemi col decollo (ha un po’ di pancia, che lo intralcia…), quindi preferisce spostarsi camminando.

Nelle sue passeggiate e nelle visite allo stagno, è seguito da mamma Bimbu e figlia Bighiri, e da qualche amico…

La piccola Bighiri nacque poco tempo dopo che mamma Bimbu e papà Bighirone si erano trasferiti in una nuova casa, e la sorpresa della nascita fu molto gradita ai due paperi !!!

Passo qualche anno e la paperella cresceva, così Bimbu e Bighirone decisero che era tempo di dare un fratellino o una sorellina a Bighiri.

Ma i due paperi non avevano fatto i conti con le caratteristiche delle loro diverse razze di appartenenza : difatti quando un maschio “Squaquerone” si sposa con una femmina “Quaquele”, e vogliono avere dei cuccioli, succede una cosa particolare.

Innanzitutto nascono solo femmine, inoltre la prima volta ne nasce una sola, la seconda volta ne escono due, e se volessero provare una terza volta ne nascerebbero tre !!!

Nacquero così altre due paperelle molto belle e simpatiche sin dai primi giorni di vita, e i parenti di mamma e papà li avvisarono di ciò che poteva accaddere se avessero provato a fare altri cuccioli… Bimbu e Bighirone decisero così che tre paperelle potevano bastare.










Bighiri fu molto contenta di avere due sorelline, e lo furono molto anche mamma e papà, anche se rimasero un po’ stupiti dalla cosa, dato che non erano a conoscenza del fatto dei cuccioli, che dipendeva dalle loro razze diverse.

Le due paperine vennero chiamate Lulù e Tidy, nomi sempre molto usati nelle tribù di paperi.

Comunque mamma e papà non ebbero grossi problemi, dato che erano aiutati molto da Bighiri e dai nonni, soprattutto dai genitori di Bimbu che abitavano vicino a Verza Town.

Le tre sorelle paperelle giocavano molto assieme tra di loro, visto che Lulù e Tidy erano un po’ cresciute ed avevano imparato a nuotare. Giocavano tanto anche mamma e papà e passavano moltissimo tempo tutti assieme nello stagno del boschetto della Bria.




Ma un brutto giorno dalle parti di Verza town arrivò, non si sa come, un coccodrillo di nome Aldone e si sistemò presso lo stagno del boschetto della Bria.

Probabilmente era scappato da qualche zoo di umani…




Questo coccodrillo era molto affamato, e così divorò in un mese 30 papere,

1 al giorno !!!

Le catturava nascondendosi in una siepe e balzando in acqua come un fulmine, ne faceva un sol boccone.

Poi si metteva a dormire e dopo, per digerire si faceva una passeggiata nei dintorni sperando di trovare qualche altro animale da mangiare.

Tutte le papere e i paperi avevano paura, sia grandi che piccoli e i genitori raccomandavano ai propri cuccioli di stare chiusi in casa e in modo particolare

di non andare a giocare allo stagno, altrimenti il coccodrillo Aldone se li sarebbe divorati !

Passò un po’ di tempo e purtroppo qualche altra papera ci lasciò le penne, oltre a qualche altro animale (castori, lepri, conigli, galline…) che viveva nei dintorni, finchè un bel giorno papà Bighirone stufo di non poter più andare con la sua famiglia a sguazzare nello stagno, decise che era ora di sbarazzarsi di Aldone !!!

Ma non sapeva come e cosa fare, così decise di dormirci sopra e all’indomani avrebbe sicuramente trovato qualche soluzione.

Durante il sonno gli apparve in sogno il Grande Spirito Manitou, padre di tutto l’universo e di tutta la natura (anche degli umani…) nella forma di un lupo grigio in mezzo ad una tempesta di neve.




Il grande Manitou fece ricordare a Bighirone una cosa che aveva visto qualche tempo fa e che lo avrebbe sicuramente aiutato a togliere di mezzo il coccodrillo Aldone.

Si svegliò la mattina seguente e ne parlò subito con Bimbu, Bighiri, Lulù e Tidy che lo incoraggiarano subito, anzi Bighiri addirittura decise di aiutarlo !

Praticamente una volta, durante una delle sue passeggiate, Bighirone aveva conosciuto un castore di nome Taddeo e questi gli aveva mostrato una strana roccia piuttosto grossa a forma di papera (o anatra…), e gli disse anche che con poco sforzo si sarebbe riuscita a spostare e a trasportarla da qualche altra parte se si voleva…

Chiamando qualche amico per farsi aiutare, i paperi si recarono (c’era anche Bighiri…) presso un altro stagno lì vicino chiamato “il Vulton”, dove viveva il castoro Taddeo e gli raccontarono cosa avevano intenzione di fare per togliersi dai piedi Aldone.




Il castoro Taddeo volle aiutarli e così spostarono e caricarono la grossa roccia a forma di papera sul carretto che aveva portato l’amico ocone Pisquizio, che abitava nel paese di “La Ciarela”, abitato solo da oche.




Tornarono a Verza Town, e sempre con l’aiuto degli amici Bighirone e Bighiri, assieme anche a mamma Bimbu, Lulù e Tidy, dipinsero la grande roccia, in maniera che sembrasse una papera, con dei colori speciali che lo gnomo “Barfo”, conosciuto da Bighirone sempre durante una delle sue lunghe passeggiate, gli aveva regalato.

Lo gnomo Barfo aveva preso questi colori da una pentola che si trovava alla fine dell’arcobaleno del boschetto della Bria, e quindi si trattava di colori magici !!!

Dopo aver terminato di dipingere la roccia, la portarono allo stagno della Bria senza farsi vedere dal loro nemico coccodrillo Aldone, la fecero scivolare in acqua e… Sorpresa !!! Grazie ai colori magici la roccia pur essendo molto pesante non andava a fondo come avrebbe dovuto accadere, anzi galleggiava tranquillamente !




Fecero appena in tempo a nascondersi quando Aldone tornò dalla sua passeggiata quotidiana.

Non si accorse subito della roccia-papera, allora Bighirone starnazzò forte forte richiamando l’attenzione del coccodrillo, che vista la grossa preda si gettò subito in acqua convinto di farsi una bella scorpacciata di papera.

Spalancò la bocca come mai aveva fatto e fece un sol boccone della finta papera, che così non fu più a contatto con l’acqua dello stagno e svanì quindi l’effetto della magia dei colori del gnomo Barfo.

Appena il coccodrillo Aldone ebbe richiuso la bocca ed inghiottito la preda, si sentì un grosso peso nello stomaco e cominciò ad affondare nello stagno finchè arrivò sul fondo e li si appoggiò.

Si racconta che si trovi ancora lì sotto, e che non riesca più a muoversi e i pesci che gli passano accanto lo prendono in giro perché sanno come si è fatto ingannare dai paperi.

Fu così che paperi e papere si dimostrarono più furbe del coccodrillo Aldone e poterono tornare tranquillamente al loro stagno della Bria a sguazzare nell’acqua come una volta.

Ci tornarono anche le due paperelle Lulù e Tidy assieme alla sorella maggiore Bighiri e a mamma Bimbu e papà Bighirone, passando tanto tempo a giocare assieme, felici e spensierati.

La storia del coccodrillo arrivò molto lontano, fu raccontata presso altre tribù di paperi e papere ed anche in tribù di altri specie di animali, che così conobbero la furbizia della tribù di Verza Town, imparando che a volte la forza e la cattiveria vengono sconfitte dall’astuzia e dalla bontà.

































CALENDARIO CHEROKEE

Gennaio Du'nolv'tani -Mese della luna fredda
Febbraio Ka'gali -Mese della luna vigorosa
Marzo A'nui -Mese della luna ventosa
Aprile Ka'wani -Mese della luna fiorita
Maggio A'na'agv'ti -Mese della luna che pianta
Giugno De'ha'lui -Mese della luna del grano verde
Luglio Gu'ye'quoni -Mese della luna del grano maturo
Agosto Ga'lo'nii -Mese della fine della luna della frutta
Settembre Du'li'is'di -Mese della luna delle nocciole
Ottobre Du'ni'nvini -Mese della luna del raccolto
Novembre Nu'da'de'qua -Mese della luna del commercio
Dicembre V's'giga -Mese della luna della neve

mercoledì 11 febbraio 2009

Il Calendario di Coligny

da wikipedia


Il Calendario di Coligny

Il calendario di Coligny.

Abbiamo una sola prova dell'esistenza del calendario celtico: il Calendario di Coligny gallico, ritrovato nel 1897 a Coligny (in Francia). Risale al I secolo d.C. circa e consiste in frammenti di bronzo incisi, dalla cui analisi lo studioso J. Monard ipotizzò che fosse un autentico calendario lunisolare druidico.

Secondo le ipotesi più accreditate, calcola il principio dei mesi dal plenilunionovilunio (o luna nuova), come avviene invece nei calendari lunisolari in uso oggi (ad esempio, quello ebraico e quello cinese). oppure dal primo quarto, anziché dal

Ogni mese era lungo 29 o 30 giorni ed era diviso in due parti, la prima "luminosa" e la seconda "oscura". I mesi di 29 giorni erano considerati infausti, mentre quelli di 30 erano fausti.

Come tutti i calendari lunisolari, il calendario di Coligny aggiunge periodicamente un tredicesimo mese all'anno, per mantenere i mesi lunari grosso modo sincronizzati con le quattro stagioni dell'anno solare. Nel calendario di Coligny, gli anni di tredici mesi ("abbondanti" o "embolismici") ricorrevano due volte ogni quinquennio: un ciclo lunisolare simile, ma meno preciso, del più comune ciclo di Metone (usato, per esempio, nel calendario ebraico), nel quale gli anni embolismici ricorrono sette volte ogni diciannove anni. In altri termini, il calendario di Coligny prevedeva un 40% di anni embolismici, contro il 38,84% del ciclo di Metone.

Il nuovo giorno è calcolato da tramonto a tramonto: ogni festa di conseguenza si celebrava a partire dalla notte precedente e quindi dalla sua vigilia. Questo particolare fa pensare che la disposizione di molte feste cristiane nel calendario possano essere state influenzate dalle usanze celtiche.

CALENDARIO CELTICO

EQUINOZIO DI PRIMAVERA: Ha inizio la stagione più dolce

Il 21 marzo segna l’Equinozio di Primavera, apertura ufficiale della stagione più dolce dell’anno e antica “porta del ciclo” pagana. Non è una festa celtica propriamente detta e non ci sono tracce scritte o evidenze sul fatto che i Celti la festeggiassero, e nessun nome legato a questa festa si ritrova propriamente nella tradizione celtica antica. Molti caratteri simbolici associati al concetto di Primavera, invece, gravitano sia su Imbolc (1° febbraio), data dell’inizio interiore della stagione che si risveglia nel mondo sotterraneo della Terra Madre, sia su Beltane (1° maggio), suo culmine e passaggio verso la grande luce dell’estate.
Equinozi e solstizi erano visti come momenti di transizione. A proposito: Equinozio deriva da “equum nocti” ovvero “uguale alla notte”, infatti giorno e notte hanno la stessa durata. Questo raro bilanciamento perfetto dei giorni solstiziali era considerato dai popoli antichi un momento potente per i riti sacri.

Sulle tracce della Dèa
Sebbene le Quattro Feste del Fuoco celtiche – le Porte del Ciclo della Terra – fossero le occasioni rituali preminenti dell’anno celtico, sappiamo che le feste solari nel periodo più antico avevano acquisito qualche significato anche nella tradizione celtica. I due solstizi (d’estate e d’inverno) erano le sole celebrazioni commemorate quasi ovunque, tuttavia alcune tracce mostrano che una data vicino all’equinozio era festeggiata in alcune comunità. La festa dell’Annunciazione della Vergine (25 marzo) è indicativa: le principali feste mariane segnalano sempre la presenza, nella stessa data o nei giorni vicini, di una festa incentrata sulla Dèa.
Diodoro Siculo allude all’evento commemorato in questo giorno quando, parlando di un tempio circolare ornato di offerte votive in un’isola degli iperborei, racconta che «ogni diciannove anni il dio appariva danzando nel cielo il giorno dell’equinozio di primavera». La solarità del numero 19 riemerge in Irlanda, nel monastero di Kildare fondato da Santa Brigit: diciannove vergini avevano il compito di vegliare la sacra fiamma che rappresentava la Madre. Il dio solare maschile nelle tradizioni più antiche le è compagno ma non prevale e il suo “apparire” radioso è collegato ai riti di fertilità.

I tre santi celtici di marzo
In marzo ci sono tre celebrazioni dedicate ad alcuni fra i più importanti santi celtici e diventate feste nazionali. Le feste dei Santi normalmente coincidono con la data della loro morte, ma qualcuno ha suggerito che la loro collocazione in questo periodo possa far pensare che qualche rituale più antico sia stato redistribuito nelle festività cristiane.

San Dewi
Il 1° marzo si celebra il St. David’s Day dedicato a San Dewi (David), patrono del Galles. Di lui si hanno scarse notizie da antichi manoscritti: sua madre si chiamava Non e suo padre, Sant, era figlio di Ceredig, Re di Ceredigion. Dopo essere stato educato nel Cardiganshire, Dewi andò in pellegrinaggio in Galles e nell’ovest dell’Inghilterra dove secondo la tradizione fondò importanti centri religiosi come Glastonbury e Croyland. Morì nel 589 d.C.

San Piran
Il 5 marzo si celebra il St. Piran’s Day dedicato al Santo Piran, patrono della Cornovaglia e dei minatori che scavano lo stagno. Secondo la leggenda, dall’Irlanda Piran navigò su una pietra da macina e poi scoprì come fondere lo stagno quando accese il fuoco su alcune pietre che contenevano il minerale. La celebrazione più importante si svolge a Perranporth e richiama migliaia di persone da tutta la Cornovaglia.

San Patrizio
Il 17 marzo c’è il celeberrimo St. Patrick’s Day dedicato a San Padráigh (Patrizio), il patrono dell’Eire che cristianizzò gli irlandesi, il suo apostolato sull’isola durò trent’anni. Padráigh spiegò alla gente il concetto mistico della Trinità paragonandola al trifoglio – tre entità distinte, le foglioline, riunite in un’unica pianta – ed ecco che il trifoglio è assurto a simbolo dell’Isola Verde (da ricordare: la triplicità divina era una caratteristica della divinità celtica e di altre deità pagane, anche in questo caso è materiale che il cristianesimo ha riadattato per farsi comprendere). Il St. Patrick’s Day viene celebrato in tutto il mondo dalle comunità irlandesi, l’evento maggiore si svolge a Dublino e calamita centinaia di migliaia di persone. Anche negli Stati Uniti si svolgono mega-celebrazioni profondamente intessute di Heritage (eredità) e “orgoglio irlandese”. La festa ha fatto ormai il giro del mondo e anche i non-irlandesi omaggiano il St. Patrick’s, qui da noi ci sono numerose rassegne musicali.

Ostara e Pasqua della Resurrezione
L’importanza della ricorrenza equinoziale non è solo una convenzione astronomica legata al risveglio della natura. Proprio il retaggio pagano ha continuato a lasciare impronte molto marcate attraverso i secoli, segnali che ritroviamo in tradizioni folcloriche e religiose giunte fino ai giorni nostri. Se i pagani, per esempio, festeggiano Alban Eiler, che significa “Luce della Terra” (ulteriore collegamento solare) oppure Ostara (da Öistre, antica dea nordica dell’alba, della primavera e dell’amore equivalente alla dea scandinava Freya), i cattolici celebrano la Pasqua. In entrambe le festività sacre il tema centrale è la rigenerazione: il passaggio dal mondo sotterraneo (inverno, sonno della coscienza collegato al letargo animale e delle piante) al vero risveglio, della natura e della spiritualità.

L’uovo e la lepre
Il famoso Uovo di Pasqua al cioccolato ha antenati nei villaggi precristiani dell’Europa. L’uovo, che ha importanza in molte culture di tutto il mondo, è uno dei simboli più antichi e potenti della vita che ritorna dopo un periodo di occultamento nell’oscurità, nella sua versione commerciale dentro c’è infatti la “sorpresa”.
Nei Paesi celtici del nord Europa tanti anni fa si usava far rotolare le uova dalla cima di una collina per la festa di Beltane, a imitazione del movimento del sole nel cielo. La Chiesa cattolica rimodellò il rituale per simboleggiare la pietra che rotola via dalla tomba di Cristo risorto e in molte tradizioni contadine, dalla Scozia all’Italia, per Pasqua i bambini usavano fare la “questua delle uova”, i soldi raccolti venivano dati in parrocchia o per opere benefiche (in Friuli, e forse in qualche altra regione delle nostre, nei piccoli paesini la tradizione continua ancora). Accenni e allusioni degli scrittori classici e dell’iconografia celtica suggeriscono che i druidi potrebbero aver avuto una tradizione collegata all’Uovo Cosmico, forse assimilata dai loro contatti con l’orfismo del mondo mediterraneo (i Misteri Orfici presero origine dal mito di Orfeo, poeta e sublime bardo della Tracia).
Il coniglietto pasquale, molto diffuso nei Paesi anglo-americani, rimanda alla mitologia germanica: è la “Österhase” o “lepre pasquale”, l’animale della fertilità che accompagna le divinità della primavera e dell’amore, ed Eostre (l’antico nome inglese di questa divinità, una variante di Öistre) è rimasto come nome della festa anche nella sua forma cristiana: in inglese Pasqua si dice Easter.

La Festa degli Alberi
Nel 1951 uscì un francobollo da 10 Lire dedicato a questa festa, istituzionalizzata di recente ma già conosciuta e diffusa da decenni, soprattutto nelle scolaresche. Qualcuno di noi, qui in redazione, ricorda che già negli anni Sessanta a scuola assegnavano un tema e bisognava fare anche un disegno ispirato alla Festa degli Alberi. Quando arrivava “il gran giorno”, era gran festa veramente: per un giorno si stava all’aperto in campagna a “ravanare” nella terra respirando aria buona.
Con Decreto Ministeriale del 4 agosto 2000 il Ministero delle Politiche agricole e Forestali, di concerto con il Ministero della Pubblica Istruzione, ha istituito la celebrazione della “Festa degli Alberi”, che si festeggia il 21 marzo.
La festa coinvolge sempre e soprattutto i bambini delle scuole elementari (insieme a maestre e maestri) e il culmine della giornata è la cerimonia della piantagione di nuovi alberi, con la collaborazione del Corpo Forestale dello Stato. Ogni bimbo è incoraggiato ad avere cura del “suo” albero per il resto della vita e questo significa anche che trasmetterà il compito ai suoi figli e discendenti. Avere cura di un albero per generazioni è un concetto d’amore per il mondo della natura significativo e profondo, ci piace collegarlo al Nobile Pensiero Celtico.

venerdì 6 febbraio 2009

ciao a tutti quelli che passano a trovarmi nel blog !!